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domenica 24 marzo 2013

Il Detective della Scienza - Terza puntata





La sfida dei nanobots

La continua ricerca di procedure e strumenti sempre meno invasivi per l’esplorazione e la cura del corpo umano è uno dei settori sui quali è attiva la sperimentazione di microsonde capaci di spostarsi per i vasi sanguigni a mo’ di autostrade per viaggiare attraverso gli organi del corpo. Chiamati nano robots o più semplicemente nanobots, sono manufatti artificiali più piccoli e sottili di un capello umano, microscopici congegni che, almeno in teoria, potrebbero rivelarsi la nuova frontiera per tutta una serie di applicazioni se e quando la tecnologia si rivelerà capace di costruirli a costi competitivi. Macchine di questo genere sarebbero azionate da motori elettrici dalle dimensioni lillipuziane. Di recente Joseph Wang, Aysegul Uygun e Wei Gao dell’Università della California hanno realizzato un microscopico razzo - sonda capace di spostarsi a una velocità di circa 1100 micron usando come combustibile microscopiche bolle di idrogeno. Non si deve pensare a questo congegno come a un razzo dalle dimensioni microscopiche, con tanto di alette e ugello, perché il motivo per cui è chiamato razzo si deve al sistema di propulsione. Il suo aspetto è quello di un tubicino lungo dieci micrometri e largo dai due a quattro, con la superficie interna rivestita di un sottile strato di zinco. La scelta di questo metallo si deve al fatto che, se immerso in una soluzione acida , esso perde elettroni e causa la formazione di bolle di idrogeno che servono da combustibile . La loro espulsione determina il movimento della micro - sonda . Essendo cavi, questi congegni possono tranquillamente essere dotati di “testate” a base di farmaci da rilasciare esattamente là dove servono, minimizzando i possibili effetti collaterali. Si tratterebbe, insomma, di vere e proprie pillole intelligenti la cui guida, invece che affidata a circuiti e transistor come accade coi razzi “veri”, è svolta da speciali magneti. Il dottor Wang non è nuovo a questo genere di esperimenti avendo già realizzato nel corso del 2011 altri micro- razzi alimentati però ad acqua ossigenata. Benché questi congegni si siano dimostrati efficaci nell’intercettare e allontanare dai loro organi-bersaglio cellule cancerogene, presentavano comunque un rischio perché l’acqua ossigenata, così utile per la disinfezione di piccole lesioni, si dimostra tossica se immagazzinata in quantità biologicamente rilevante nei tessuti. Da qui l’esigenza di realizzare micro - razzi con una diversa forma di propulsione.

Pianeti rocciosi


Nuovi pianeti rocciosi

La sonda Corot lanciata per conto dell’agenzia spaziale francese (C.N.E.S.) dal cosmodromo di Baikonur (Russia) nel 2009, è una delle son de lanciate di recente con il fine di studiare e identificare nuovi pianeti extra solari. Il tasso di successi da essa conseguiti ha superato le aspettative degli scienziati , e ad oggi è considerata una delle sonde più fortunate a livello di scoperte effettuate. Tanto per cominciare, i suoi strumenti ad altissima risoluzione hanno scoperto il più piccolo pianeta extrasolare del momento, distante circa 500 anni luce da noi , chiamato Corot 7b in onore della sonda stessa. Il pianeta di tipo roccioso si trova nella costellazione dell ’Unicorno e presenta una densità media pari a 5,5 grammi per cm3, compatibile con quella terre s tre. Il diametro di Corot 7b è circa il doppio del nostro pianeta mentre la sua massa è per contro inferiore di un fattore venti . A causa dell’estrema vicinanza alla sua stella, un astro meno massiccio del nostro Sole distante da noi 456 anni luce, la superficie di Corot 7b è rovente, attestandosi sui 2000 gradi centigradi che scendono a 200 nel corso della notte. La sonda ha scoperto un altro pianeta nella stessa zona, stavolta denominato Corot-7c caratterizzato da un’orbita intorno alla propria stella pari a circa 3,7 giorni. La stessa navicella automatica ha poi scoperto un pianeta di tipo gioviano, vale a dire costituito in gran parte di materiale gassoso, Corot- 6b, tre volte più grande di Giove, in orbita intorno a una stella di tipo solare. Nel 2010 la stessa sonda ha scoperto un altro pianeta, Corot-9 b, anche questo un gigante gassoso. In questo caso, per determinare la massa dell’oggetto, risultata poi pari all’ottanta per cento di quella di Giove, è stato necessario l’ausilio di un’ altra sonda, il telescopio spaziale Spitzer. La serie fortunata di scoperte della sonda non finisce qui, perché nel corso dello stesso anno la sonda ha scoperto, nell’ordine, Corot-8 b, Corot-10 b, Corot-11 b, Corot-12 b, Corot-13 b e Corot-14 b, tutti pianeti gassosi. Infine, al 14 giugno del 2011, la stessa sonda ha scoperto un nu ovo carn et di ben 10 altri esopianeti : sette di questi – Corot-16 b,Corot-17 b, Corot-18 b, Corot-19 b, Corot-20 b, Corot-21 b e Corot-23 b – di ti po gassoso. Le scoperte non sono finite qui, perché gli astronomi hanno intenzione di far eseguire alla sonda nuove osservazioni presso altre regioni galattiche al fine di identificare quelli che, secondo i calcoli, potrebbero rivelarsi circa quattrocento nuovi pianeti ex trasolari. Tutte queste scoperte hanno un’importanza elevata per gli addetti ai lavori e confermano le buone qualità e la precisione degli strumenti a bordo della sonda i cui strumenti sono stati forniti da collaborazioni internazionali per conto dell’E.S.A., l’ Agenzia Spaziale Europea . Questi risultati fanno pensare che, nonostante l’abbondanza di pianeti gassosi che orbitano attorno ad altre stelle, anche quelli di tipo roccioso, più compatibili con la Terra, sono relativamente comuni: una scoperta che prospettive scientifiche in voga solo una ventina di anni fa avrebbero negato con decisione.


Avvistamento dello Yeti


Avvistato il famigerato Yeti?

Kemerovo è una regione siberiana che si trova a circa 3.500 km da Mosca, dove il comparto industriale lavora da sempre prodotti e materiali di origine chimica. La regione è però nota agli indigeni per un’ attrattiva completamente diversa: è infatti vista come l’habitat ideale dei mitici Mi- Goi, come li chiamano gli Sherpa , Yeti come invece li chiamano gli osservatori occidentali. Tut ti sanno che di tale misterioso ominide abbondano ricerche e filmati di qualità più o meno scarsa, spesso frutto di frodi , dubbi, errati avvistamenti o vere e propri e truffe. Truffe che invece non dovrebbero esistere nel caso in questione, almeno questa è la convinzione di Igor Burtsev, famoso esperto di Yeti, il quale si dichiara convinto dell’esistenza in questa zona della Siberia di una nutrita comunità di “abominevoli uomini delle nevi ” composta di almeno venti individui. A dire il vero l’idea di Burtsev non è proprio nu ova perché già nel 2009 fu organizzata una ricerca sulle tracce dello Yeti nel distretto di Tashtagol, guidata dallo zoologo Nikolai Skalov, docente della Kemerovo State University. Il luogo principe è stato la caverna di Azasskaya, una zona raggiungibile solo grazie all’uso di elicotteri e quindi del tutto isolata ed impossibile da raggiungere a piedi; lì i criptozoologi russi avrebbero ritrovato peli non identificabili con quelli di un qualsiasi altro mammifero, re s ti di attrezzi di legno e diverse impronte. Com’è noto, sia la Siberia che l’Himalaya sono da sempre i teatri di gran parte degli avvistamenti di Yeti e sono molti gli abitanti della zona che affermano di aver almeno visto, e in qualche caso perfino salvato dall’ annegamento, uno di questi esseri. Nel marzo del 2011 lo stesso Burtsev aveva raccolto le testimonianze oculari di almeno 14 osservatori che hanno indicato proprio la caverna di Azasskaya come luogo prediletto dello Yeti siberiano. Secondo lo scienziato, gli Yeti locali sarebbero alti circa due metri e caratterizzati da una folta pelliccia rossastra. Come già altri e più  noti primati, anche gli Yeti siberiani sarebbero capaci di arrampicarsi su gli alberi con notevole agilità ma, di contro, incapaci di nuotare: “Sono soliti costruire una sorta di «abitazione» usando come materiale rami, tronchi e fogliame” – ha detto il criptozologo russo – “o almeno così pensavamo all’inizio. Adesso, basandoci su nuove testimonianze, penso di poter essere sicuro che quelle costruzioni non siano una sorta di riparo contro il freddo ma punti di riferimento”. Storie di Yeti abbondano da sempre in Asia e fanno parte del folklore delle comunità dell’Himalaya , ma finora nessuno ha potuto vantare video o immagini affidabili di questi esseri sfuggenti. Tutto vero, quindi? La comunità dei cri ptozoologi locali ha avanzato alcune perplessità sulla notizia, facendo notare come la creazione in fretta e furia di un centro dedicato allo Yeti potrebbe sembrare, a occhi scettici , come uno specchietto per le allodole atto ad attrarre l’interesse dei turisti verso una località praticamente ignorata finora dagli agiati vacanzieri occidentali. L’atteggiamento della comunità cripto zoologica internazionale è quindi di cauta perplessità in attesa che da Kemerovo, prima o poi, arrivino tracce e campioni biologici che rivelino l’indiscutibile esistenza dello Yeti di Azasskaya.

Massimo Valentini

lunedì 11 marzo 2013

Il Detective della Scienza - Seconda puntata




Tre nuovi pianeti

Al momento sono diverse centinaia i pianeti extra solari scoperti in anni di osservazione astronomica anche se fino ad ora si sono rivelati esclusivamente giganti gassosi dalle dimensioni almeno due volte quelle della Terra , per non parlare di oggetti le cui dimensioni sono superiori a quelle di Giove, il gigante indiscusso del nostro Sistema Solare. Oggi, però, i fautori dell’esistenza di vita extra terrestre potranno gioire nel sapere che i ricercatori dell’Exoplanet Science Institute della NASA hanno scoperto i tre pianeti extra solari più piccoli in assoluto. I tre oggetti sono stati scoperti grazie all ’esame del database della missione Kepler che raccoglie oltre 150.000 stelle. Di queste, circa 3.000 sono nane rosse di classe M, proprio come la stella intorno alla quale orbitano i tre pianeti in questione. Battezzati con i poco fantasiosi nomi di KOI-961.01, KOI-961.02 e KOI-961.03, evidenti riferimenti alla loro stella, denominata appunto KOI- 961, guarda caso proprio una nana rossa di classe M. Le nane rosse sono stelle molto comuni nell’universo, ma difficilmente osservabili a causa della loro scarsa luminosità. I tre nuovi pianeti hanno dimensioni simili a quelle di Marte ed evidenziano orbite troppo vicine al loro sole per poter ospitare forme di vita simili a quella terrestre, essendo improbabile che possano ospitare acqua liquida. La loro temperatura superficiale varia dai 168 ai 440 gradi, per cui risultano francamente incompatibili anche con la presenza di ghiaccio, tuttavia la loro scoperta è rivoluzionaria perché evidenzia la possibilità che l’universo non ospiti solo sistemi planetari formati da giganti gassosi come Giove e Saturno, ma soprattutto corpi più piccoli di tipo roccioso: “Questa scoperta”, dice John Johnson, co – autore del team scientifico della NA S A, “indica chiaramente che sembrerebbe che una nana di classe M su tre possieda un sistema planetario fatto da pianeti rocciosi”. Si tratta di una scoperta importantissima nell’ambito dell’Astronomia perché evidenzia la possibilità che la sola Via Lattea possa ospitare in abbondanza sistemi planetari come quelli di KOI-961 e quindi moltiplicare la possibilità che tra i loro pianeti ne esistano alcuni dalle caratteristi che simili alla Terra. E se consideriamo che le nane rosse simili a KOI-961 pare rappresentino l’80% del totale di stelle della sola Via Lattea, la possibilità di scoprire un pianeta di tipo terrestre, cioè adatto a ospitare forme di vita intelligenti , si fa sempre più vicina. Cioè vuol dire che un giorno, invece di aspettare che eventuali alieni facciano il primo passo per contattarci, potremmo farlo proprio noi.

La pioggia di Kerala


La Pioggia di Kerala

Tra il 25 luglio e il 23 settembre del 2001 si verificò una curiosa pioggia nello stato indiano del Kerala. Le gocce di liquido erano prevalentemente di colore rosso ma i media locali riportarono la notizia di altre piogge verdi e nerastre, anche se la colorazione più comune era proprio quella scarlatta. Una pioggia ben strana, dal momento che si rivelò composta in realtà da particelle il cui diametro variava dai 4 ai 10 micrometri, dalla forma vagamente sferica e un centro schiacciato. Composte da carbonio, azoto, ossigeno, idrogeno, silicio e tracce di elementi metallici, si sono dimostrate in grado di non essere danneggiate se esposte a raggi ultravioletti e a raggi gamma, ad elevate temperature e a diverse sostanze chimiche. I ricercatori hanno scoperto, in pratica, che si comportavano proprio come le spore terrestri, cioè gli organismi organici più robusti esistenti sulla Terra. Ogni millilitro di quella che la stampa locale battezzò Pioggia di Kerala presentava 9 milioni di quelle particelle rosse e secondo i calcoli svolti dagli esperti, in totale sarebbero caduti 500.000 kg di materiale. Dopo un’iniziale fase di scetticismo, la comunità scientifica parlò di sangue di mucca (?), licheni, contaminazione di piante e spore provenienti da alghe terrestri note come Trentepohlia . Solo due furono gli esperti che avanzarono un’idea del tutto diversa: che cioè la pioggia in questione fosse in realtà causata da cellule di origine extraterrestre probabilmente provenienti dall’ esplosione di un bolide (un frammento meteorico) che si era disintegrato nei cieli indiani. Godfrey Louis e Santosh Kumar, questi i loro nomi, furono ovviamente accusati di esagerazione quando non proprio di vera e propria mitomania. Ma oggi il dibattito sulla straordinaria pioggia scarlatta si riapre perché i due non si sono dati per vinti e hanno mostrato che le cellule in questione sono in grado di sopravvivere e prosperare dopo un periodo di ambientazione a 121 gradi centigradi, risultati coadiuvati dalla Cardiff e dalla Sheffield University. In queste condizioni le cellule misteriose sono in grado di riprodursi agevolmente, il che fa pensare che esse si moltiplicano grazie a variazioni a temperature ben determinate. Si tratta davvero di un fenomeno curioso perché come abbiamo già detto le uniche cellule terresti che possiamo usare come termini di paragone, le spore, possono sì sopravvivere a queste temperature, ma non si comportano affatto come le cellule di Kerala. Oltre a ciò, ed è forse il dettaglio più inquietante della faccenda, lo spettro luminoso di queste particelle presenta bizzarre affinità con la traccia della nebulosa nota come “Rettangolo Rosso”, il che porta nuova acqua al mulino dell’origine extraterrestre. Ed è adesso che le cose si fanno emozionanti, perché la possibilità che le particelle di Kerala siano spore aliene sarebbe una prova formidabile che la vita nell’universo sarebbe diffusa grazie alle comete e agli asteroidi secondo le regole della cosiddetta Panspermia, avanzata, ma mai provata, da diversi fisici teorici tra i quali il compianto Carl Sagan. Sulla questione non è detta l’ultima parola perché i fautori dello scetticismo a oltranza sono agguerriti, sostenendo che non è stata rilevata alcuna traccia di DNA in queste particelle, e che quindi non si possono definire veri e propri organismi viventi. Certamente, sono necessarie rigorose ricerche per escludere ogni possibile contaminazione da parte di fonti più terresti e meno aliene per avallare questa teoria, ma il dado è tratto e la Pioggia di Kerala è realmente un fenomeno più unico che raro. La conseguenza è che adesso sono molti i ricercatori che rivolgono le proprie attenzioni al fenomeno, segno che forse l’essere troppo scettici non aiuta più di tanto il progresso scientifico.


Eruzione del sistema solare del 14 gennaio


Nuove eruzioni solari

Sembra che il Sole si sia risvegliato dal suo periodo di “riposo” e che stia producendo eruzioni solari di una certa entità. Secondo Liam Fox, del Segretariato alla Difesa della Gran Bretagna, sarebbe maggio 2013 la data in cui potrebbero verificarsi eruzioni solari di straordinaria violenza, tali da causare serie noie ai sistemi di comunicazione del nostro pianeta e che potrebbe significare il bombardamento della Terra da parte di un numero elevato di protoni ad alta energia in grado di viaggiare a velocità dell’ordine di 6.4 milioni di chilometri l’ora. Tale fenomeno seguirebbe, ampliandole, eruzioni solari già verificatesi negli ultimi tempi a livello della regione solare numero 1402, al momento una delle più attive sulla superficie della stella, e debitamente segnalata dai responsabili dell’Amministrazione Nazionale Americana per gli Oceani e l’Atmosfera (NOAA) e della NASA, che si è subito affrettata a dichiarare che la cosa non produrrà conseguenze nefaste per gli astronauti a bordo della ISS, la Stazione Spaziale Internazionale. In effetti, le conseguenze più seri e l’avrebbero proprio i satelliti in orbita intorno alla Terra, i cui delicati strumenti non sono progettati per tollerare bombardamenti protonici di tale potenza che porterebbero al collasso delle comunicazioni, dei sistemi di ausilio alla navigazione (GPS), delle comunicazioni, dei rilevamenti meteo. Non sarà la fine del modo come quella teorizzata dalle teorie disfattiste basate sul calendario Maya, ma resta l’esigenza di correre subito ai ripari per ovviare al fenomeno fin d’ora , come del resto Fox ha già dichiarato.


Massimo Valentini