Sono molti oggi gli studiosi che ritengono
probabile l’esistenza di forme di vita diverse da quella terrestre sviluppatesi
da qualche parte nell’Universo. Organismi magari semplici e affini in qualche
misura ai microorganismi presenti sul nostro pianeta, ma pur sempre
extraterrestri. I pareri diventato discordanti quando si mettono a confronto i
fautori dell’esistenza di civiltà aliene altamente tecnologiche e chi invece
pensa che siamo decisamente soli in questo grande ammasso di stelle, pianeti e
galassie che concettualmente chiamiamo “cosmo”. L’esistenza di altre forme di
vita più complesse e organizzate della nostra è un argomento che da tempo
immemorabile ha visto filosofi, accademici e teologi confrontare le proprie
posizioni, anche se la querelle è ben
lontana dall’essere risolta. Coloro che studiano l’ufologia e che danno a
questi eventi, numerosissimi, una spiegazione extraterrestre (ricordiamo che il
termine UFO designa, in realtà, un qualsiasi oggetto o fenomeno, anche
terrestre, che non sia stato identificato con certezza) hanno superato il
problema di porsi la domanda su come siano organizzate le civiltà aliene e su
quali basi biologiche il loro corpo potrebbe essere basato. Ha destato un certo
scalpore la recente dichiarazione del famoso astrofisico Stephen Hawking che ha
ventilato l’ipotesi che civiltà aliene più progredite possano rivelarsi
aggressive nei nostri confronti invitando i governi ad evitare qualsiasi
tentativo di contattarle. E’ anche possibile, naturalmente, che siano altre
civiltà a fare il primo passo ed è quello che potrebbe essere successo il 22
aprile 2010 quando la sonda Voyager 2, lanciata dalla Nasa nel 1977 e ancora in
funzione dopo oltre trent’anni di attività (la sonda ha visitato Giove,
Saturno, Urano e Nettuno e l’11 dicembre 2007 ha superato il
cosiddetto “terminal shock”, una zona di spazio superata la quale il campo
magnetico del Sole cessa di avere un qualsiasi tipo di influenza) ha cominciato
a trasmettere sulla Terra dati assolutamente incomprensibili. C’è chi ha
interpretato questo strano fatto come un deliberato atto di una qualche civiltà
extraterrestre. Hartwig Hausdorf (autore
del libro “UFOs – They Are Still Flying”) ha infatti dichiarato: “sembra quasi come se qualcuno avesse dirottato o
riprogrammato la sonda, forse così non conosceremo ancora tutta la verità”. Un’idea intrigante, peraltro smentita
dalla Nasa con un laconico comunicato nel quale si legge che la sonda: “…ha
solo avuto un problema nella formattazione dei dati prima di inviare i
successivi, per cui non sono stati trasmessi in modo uniforme.” 1 Ma
a prescindere dal fatto che la sonda sia stata intercettata da una civiltà
aliena o meno ciò che è affascinante è che essa, similmente alla sua gemella
(Voyager 1, anch’essa ancora in funzione) reca a bordo un disco d’oro su cui
sono stati incisi musica e saluti in 55 lingue. Questo, proprio nel caso in cui
una eventuale civiltà extraterrestre la ritrovi. Ma il problema di come
potrebbero essersi evolute creature aliene rimane e una parziale risposta
potrebbe trovarsi nell’Esobiologia (o Xenobiologia) una branca scientifica
speculativa il cui nome deriva dall’unione tra il termine greco “esos”
(esterno) o “xenos” (straniero) con
il sostantivo biologia. Le sue origini affondano negli anni cinquanta grazie
al biologo Joshua Lederberg in preparazione dello storico, primo sbarco
dell’uomo sulla Luna.
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Joshua Lederberg |
Ledeberg infatti suggerì apposite procedure per
decontaminare i veicoli spaziali di rientro nell’atmosfera terrestre da
possibili batteri “lunari” sconosciuti potenzialmente in grado di scatenare
epidemie che avrebbero potuto rendere del tutto inermi le forme di vita
terrestri. Questa ipotesi fu subito smentita (la Luna non possiede alcuna forma
di vita “indigena”) ma il concetto che nello spazio potrebbero esistere forme
di vita rimase. Scopo dell’esobiologia è l’indagine, portata avanti basandosi
sull’evoluzione della vita terrestre, volta ad ipotizzare quali potrebbero
essere i principi biologici alla base di organismi sviluppatisi su altri
pianeti. La sua ricerca, dunque, è limitata a forme vitali basate sul carbonio
(come la nostra) ma non per questo è meno affascinante. Gli esobiologi prendono
molto sul serio i possibili microorganismi su altri pianeti ma non trascurano
neanche la possibilità di forme di vita più intelligenti. A questo proposito
Frank Drake, celeberrimo astronomo americano, sviluppò nel 1961 l’equazione che
da allora porta il suo nome. Semplificata al massimo, essa ci dice che il numero
di civiltà extraterrestri potenzialmente esistenti nell’Universo è in funzione
del prodotto di una serie di fattori. Tuttavia le incertezze nei termini dell’equazione
rendono impossibile predire se la vita sia un evento raro o meno, perché le probabilità
che esistano pianeti abitabili vengono determinate sulla base delle proporzioni
osservate. Certamente, l’Universo appare sconfinato e già oggi stiamo scoprendo
nuovi pianeti orbitanti intorno a sistemi stellari lontani dal nostro. I
fautori di chi immagina il cosmo pieno di vita (sia essa formata da semplici
batteri o civiltà tecnologiche) hanno ragione almeno quanto chi sostiene il
contrario (che cioè la vita sulla Terra sia il risultato di un fatto più unico
che raro). Ecco perché la scoperta anche di un solo batterio non terrestre
avrebbe ripercussioni importantissime perché se trovassimo anche un semplice
insetto su un altro pianeta, sarebbe la prova evidente che la vita non esiste
solo qui da noi. Tale assioma, però, non significa automaticamente che la vita
extraterrestre debba anche essere intelligente o superiore alla nostra, perché
al momento non abbiamo evidenze scientifiche a sostegno dell'esistenza di forme
di vita in grado di comunicare con noi. Una cosa però la sappiamo: esiste un
tipo di vita terrestre che può tranquillamente sopravvivere anche nel vuoto
degli spazi cosmici e sono proprio le spore batteriche. Nel corso degli anni i
ricercatori di tutto il mondo hanno cercato di stabilire se spore e batteri
terrestri potessero rimanere ancora vitali se esposti al vuoto dello spazio
cosmico, ovvero all’ambiente più deleterio che si conosca. Per esempio, gli
scienziati del German Institute for Aerospace Medicine hanno usato un apposito
apparecchio della Nasa per verificare cosa accede alle spore di Bacillus Subtilis nello spazio. Una
serie di filtri permetteva di saggiare sui campioni raggi ultravioletti e solari
oltre ai raggi cosmici. L’esperimento stabilì che il 2% dei batteri erano
ancora vivi.2 Ricercatori giapponesi hanno invece condotto un
esperimento per simulare l’esposizione allo spazio per 250 anni dello stesso
microorganismo. Le spore di Bacillus
Subtilis, in questo caso, sono state sigillate in una camera sotto vuoto,
bombardate con protoni ad alta energia e portate a -196° C. Metà dei campioni è
sopravvissuto.3 Simili studi dimostrano senza ombra di dubbio che i
batteri possono sopravvivere nel vuoto spaziale ma dimostrano anche un concetto
fondamentale: che cioè la vita sembra assai complicata da debellare e potrebbe
benissimo essersi formata anche su altri pianeti. Ma dove? A parte Marte,
oggetto del desiderio di moltissimi scrittori di Fantascienza (e scienziati)
quale potrebbe essere un possibile candidato per ospitare vita basata sul
carbonio? Se limitiamo la nostra indagine al nostro sistema solare scopriremo
che uno dei più probabili candidati è un satellite di Giove, Europa, che nel 1997
è stato raggiunto dalla sonda europea “Galileo”. Le prime immagini che la
navicella inviò al centro di controllo della Nasa resero euforici gli
scienziati. “Galileo” aveva scoperto il primo oceano extraterrestre della
storia umana. Sappiamo che Europa è ricoperta di ghiaccio e tra quel ghiaccio la sonda rilevò la
presenza di Iceberg. Ora, iceberg equivale ad acqua liquida e quindi la crosta
ghiacciata di Europa sembrerebbe scivolare letteralmente su uno strato di
acqua.4 Richard Terrile, scienziato all’epoca impegnato nel
programma alla Nasa, dichiarò quanto segue alla stampa: “Se mettete insieme
acqua più composti organici sulla Terra equivale alla vita.”5 Allo
stato attuale non sappiamo se davvero Europa ospiti forme vitali simili a pesci
sotto quel ghiaccio, ma certo è che possiede dell’acqua e, forse, non soltanto
colonie batteriche ma organismi più complessi. Ma possono esistere anche forme
di vita dotate di intelligenza, tecnologicamente avanzate, e magari in grado di
comunicare con noi? Si tratta di una visione suggestiva che però raccoglie
tanto possibilisti quanto scettici. Nel 1964 il biologo George Simpson ha
scritto un articolo in cui evidenziava la futilità della ricerca volta a
trovare civiltà extraterrestri liquidandola come “una delle più improbabili
scommesse della storia. L’idea che alcuni mondi ospitino necessariamente,
secondo alcuni astronomi e biochimici, forme di vita umanoidi è chiaramente
falsa.”6 In
un dibattito con Carl Sagan il biologo Ernst Mayr ha proseguito sulla stessa
argomentazione affermando che: “Sulla Terra, tra i milioni di linee di
discendenza solo una ha portato alla nostra intelligenza e tanto basta per
convincermi che la vita nell’universo, oltre quella terrestre, è assolutamente
improbabile.”7 Ma se nell’Universo
fosse insita una certa “predisposizione” alla vita (e all’intelligenza) su quali
composti chimici potrebbe essere basata? L’Esobiologia ha avanzato diversi
composti alternativi al carbonio, che potrebbero funzionare per costruire
macromolecole biologiche anche se il carbonio rimane di gran lunga il
“materiale” più comune negli spazi interstellari. (Infatti, tra le varie
molecole identificate nello spazio interstellare 84 sono basate sul carbonio e pochissime
su sostanze diverse quali, ad esempio, il silicio). Silicio o composti
contenenti silicio, Ammoniaca e Fosforo sarebbero i candidati più probabili.
Simili idee non sono affatto campate in aria come si potrebbe pensare. Sulla
Terra, ad esempio, le diatomee, i radiolari e le spugne silicee formano i loro
scheletri con diossido di silicio. Il fosforo, in forma elementale, è poi molto
più reattivo del carbonio. Se diamo un’occhiata alla nostra atmosfera
scopriremo che è composta per quasi l’80% da azoto, un gas inerte e dispendioso
energeticamente per il suo fissaggio, ma che potrebbe servire da elemento base
per un’atmosfera basata sul diossido d’azoto. In una pianeta del genere
esisterebbero organismi simili a vegetali che potrebbero assorbire diossido d’azoto dall'atmosfera e fosforo dal terreno, mentre i loro
scarti sarebbero a base di ossigeno. A questo punto altre forme di vita
consumerebbero tali “piante” e userebbero l’ossigeno atmosferico espirando
diossido d’azoto e depositando fosforo come rifiuto solido.8 L’ammoniaca,
invece, potrebbe essere ossidata da specifici organismi che rilascerebbero
idrogeno come elemento di scarto. Essi verrebbero poi predati da altre creature
che respirerebbero idrogeno. Una vita fondata sull’ammoniaca potrebbe essere
adatta a pianeti orbitanti al di fuori della “zona di abitabilità” basata sui
composti dell’acqua. Anche gli idrocarburi, come i mari di metano ed etano che
potrebbero essere presenti sulla superficie di Titano, potrebbero agire come
solventi per complesse reazioni chimiche legate a una vita del tutto diversa da
come noi la conosciamo. Come si vede i composti “alternativi” per far nascere
forme vitali differenti da quella terrestre sono teoricamente già disponibili
qui, sulla Terra, e non è detto che in condizioni ambientali proprie di pianeti
diversi, orbitanti in altri sistemi solari, non siano una realtà. Impossibile
poter ipotizzare la loro forma, ma si tratta di possibilità affatto teoriche.
Forse un giorno la tecnologia di cui disporremo ci consentirà di verificare
tali teorie o di scoprire qualcosa di ancora diverso. Ciò che è indubbio è che
l’esobiologia, il progetto Seti, e la ricerca in generale di vita nel cosmo
sono il banco di prova di una visione dell’Universo che si oppone a un'altra,
quella degli scettici. Da un lato c’è la parte della scienza più nichilista,
quella che crede in un universo sostanzialmente sottoabitato dove noi siamo gli
unici esseri intelligenti. Ma dall’altra c’è un visione cosmica, forse più
romantica ma non per questo irrealistica. La visione di un universo in cui
esiste un messaggio fondamentale: produrre la vita. Un universo, cioè, in cui
l’emergere di esseri pensanti, non importa se più o meno avanzati di noi, è
parte integrante dell’ordine delle cose. Un universo in cui non siamo affatto soli.
Massimo Valentini